domenica, agosto 25, 2013

La salute prima di tutto? Dipende

"La salute è la cosa più importante" si sente ripetere spesso. Ma è davvero così? Non proprio. In realtà dipende dal punto di vista e dall'accezione di "salute" che si ha in mente.
Se ci si riferisce infatti al grado di salute minimo indispensabile alla sopravvivenza, allora è ovviamente vero che esso viene prima di tutto. Se però si ha in mente un livello più alto di buona condizione psicofisica - diciamo quello che si raggiunge lottando contro tutti gli acciacchi che possono colpire l'organismo e che la medicina standard è in grado di curare -, allora la salute non sta più sempre al primo posto, cedendo frequentemente il passo al denaro.
A volte, per chi non è economicamente benestante, può essere più ragionevole abbassare le pretese in materia di salute, rinunciando ad esempio a un po' di benessere fisico, pur di preservare quel tanto di soldi necessari a garantire un tenore di vita più allegro e sereno, nonché a ripararsi da eventuali rischi futuri.
Insomma, in certi casi i soldi sono ancora più importanti della salute. Entro certi limiti, è meglio vivere un po' acciaccati con tutti i comfort, che in piena salute ma a pancia vuota.

Lorenzo Sandiford

domenica, luglio 21, 2013

De Rita ha ragione a puntare il dito sui partiti, ma la sua ricetta ha una pecca

D'accordo con Giuseppe De Rita, nel suo editoriale sul Corriere della Sera del 20 luglio ("Salvate i partiti da se stessi"), per come inquadra la fase di stallo politica in cui si trova l'Italia oggi. Con una sola obiezione, però cruciale, riguardo ai passi necessari ai partiti per diventare strumenti politici funzionanti: non credo che un partito debba identificare un "blocco sociale di riferimento" per essere tale, come se l'unica alternativa fosse una "condivisione d'opinione".
Chi come me ha creduto nella possibilità di un Pd a "vocazione maggioritaria" (anche se ho sempre preferito non usare pubblicamente quel termine facile da fraintendere) e in un sistema bipolare centrato su due forze principali è convinto che un partito possa più proficuamente fondarsi su un modello di società verso cui muoversi attraverso le riforme: un modello di società appetibile a una larga fascia della popolazione, non soltanto a un blocco sociale vecchia maniera.
Certo, se i partiti restano concepiti e "organizzati" come adesso - eserciti di persone cooptate secondo i voleri delle élite di blocchi socio-economici di riferimento - non possono funzionare che, appunto, se sono l'espressione più o meno fedele di quei blocchi, senza corpi estranei che creano solo disordine.

Ma se si allarga l'orizzonte delle forme partito possibili ci si rende conto che sono concepibili partiti a vocazione maggioritaria organizzati democraticamente in modo che in essi possano confluire più categorie sociali, unite da determinati progetti di cambiamento e modelli di società obiettivo. Non si tratterebbe di semplice condivisione di opinioni, quanto piuttosto della scelta di modelli di società desiderabili, quanto a competitività e qualità della vita, perché in grado di dare spazio e valorizzare molte, se non proprio tutte, realtà socio-economiche del Paese. 
E' solo questo genere di partito che può guidare il cambiamento, attraverso una sintesi o meglio una rielaborazione delle rivendicazioni lobbistiche delle varie categorie socio-economiche, e non - come adesso - procedendo quasi a casaccio in base alle spinte, più o meno forti, di tali lobby economiche. Insomma, è solo così che, a mio parere, si può ristabilire il primato della politica.
Per il resto, ha ragione De Rita: non si può riformare in modo incisivo la politica italiana solo ripensando le istituzioni, ci vuole anche una revisione della dimensione partitica, che è in profonda crisi, come testimoniato dal movimento di Grillo e dalla "onda d'opinione per Scelta civica" ma anche dal Pdl e persino dal Pd. Inoltre, è vero che dietro ai partiti ci dovrebbe essere un'idea di forma partito precisa e delle regole di funzionamento "certe e costanti", se si vuole che funzionino bene e producano programmi efficaci.


Lorenzo Sandiford

giovedì, aprile 25, 2013

senza titolo

Un partito, per poter governare con molte divisioni interne, deve saper governare le divisioni interne.

Non è così difficile. Ma è necessario non cercare di nasconderle, prima di tutto a se stessi.

Lorenzo Sandiford

(scritto il 20 aprile su Facebook e su ioeilpd)

sabato, marzo 09, 2013

Carlo De Benedetti: da editore a editorialista (e pure bravo)

"Penna o tastiera rubata al commento giornalistico" verrebbe da dire retrospettivamente leggendo i corsivi sul Sole 24 Ore dell'Ingegner Carlo De Benedetti, se non fosse stato l'editore, imprenditore e uomo d'affari che è stato.
E' una battuta che mi frulla da un po' di tempo nella testa, dopo aver letto alcuni interessanti e davvero ben scritti articoli di De Benedetti per il quotidiano di Confindustria, ma che per pigrizia o mancanza di tempo avevo sinora evitato di postare. E anche un ottimo spunto per un'intervista, un po' come nel caso dello scienziato Maracchi alla guida dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze, visto che non mi pare così frequente vedere un editore in pensione che si mette a fare l'editorialista e a tale livello.
Interessante l'ultimo suo commento, il primo marzo, intitolato "Economia reale e moralità per ripartire". In cui fra l'altro sostiene giustamente che è cruciale che la pubblica amministrazione paghi velocemente i debiti accumulati verso le imprese (prima che queste falliscano) a costo di aumentare di qualche punto il debito pubblico.
Ma ancor di più lo era il penultimo ("La guerra valutaria che cambia l'Europa", Sole 24 Ore 29 gennaio 2013) dove toccava di passaggio un argomento su cui ero intervenuto (forse esagerando un po') con un post nel mio profilo Facebook. Mi riferisco alla definizione del lavoro come priorità di governo per l'Italia, che ho criticato come formula sbagliata in quanto fuorviante e illusoria. Ebbene, Carlo De Benedetti, nell'incipit di quell'editoriale, è quasi come se indirettamente mi sconfessasse e desse ragione al tempo stesso. All'inizio afferma infatti: "Ma come, si dirà, non era il lavoro, la creazione di nuova occupazione, la priorità mondiale del nuovo anno? Sì, lo è". Però poi aggiunge: "Ma la guerra per il lavoro si combatterà anche, e forse soprattutto, con la guerra delle valute. Perché è dalle valute che oggi passa la leva più potente per la competizione tra i sistemi produttivi e, quindi, la capacità per ciascuno di essi di creare posti di lavoro". Confermando ciò che avevo sostenuto io: in fin dei conti non ci sono grandi scorciatoie per creare posti di lavoro, la chiave è sempre la competitività del sistema produttivo.
Ad ogni modo, ribadisco la sorpresa nell'aver scoperto questo talento di De Benedetti, che con la sua scrittura agile ed efficace avrebbe meritato un posto al fianco degli editorialisti di Repubblica o dell'Espresso. Intervistatelo, voi che potete, e segnalatemi l'articolo, ché sono curioso di vedere cosa dice in proposito.

Lorenzo Sandiford

sabato, febbraio 23, 2013

Caro Settis, se non è "antipolitica" Grillo, allora aboliamo la parola!

Apprezzo quasi sempre le prese di posizione di Salvatore Settis, specialmente in materie "sue" come la tutela dei beni culturali e la protezione ambientale. Ma le risposte da lui fornite nell'ottima intervista del 21 febbraio 2013 di David Allegranti sul Corriere fiorentino non mi sembrano contraddistinte da sufficiente capacità di penetrazione delle questioni poste dal giornalista.
Settis, a mio parere, non va oltre la superficie delle cose quando riduce i problemi dei partiti italiani a quasi un epifenomeno della legge elettorale e anche nel modo in cui tocca il capitolo primarie del Pd è troppo sbrigativo. Idem per altri passi.
Ma soprattutto non mi convince molto la sua risposta sul Movimento 5 Stelle, per il quale rifiuta l'espressione "antipolitica". Se hanno infatti un certo fascino su di me le idee che "la vera antipolitica sono i centri di potere non controllati dalla democrazia" e che "antipolitica sia una parola 'violenta e disonesta'" (molto spesso, integro io), non vedo però a quale altro movimento possa essere data con altrettanta fondatezza quella etichetta.
Altro discorso sono stati ad esempio i girotondi, attraverso i quali, oltre a criticare i partiti attuali (la politica), si provò - con scarsissimo successo a dire il vero - a cambiarli e a costruire una politica diversa, più partecipata ed effettivamente democratica. Grillo invece, tramite il suo "tsunami", critica e distrugge (a volte con buone motivazioni) tutto quello che incontra. Ma la sua pars costruens è di una povertà assoluta, imbarazzante.
Se non è antipolitica Grillo, cosa mai lo sarà? Allora piuttosto diciamo che si deve abolire la parola perché l'antipolitica non esiste: sarebbe un concetto impossibile, mal definito, perché ogni cosa che nasce come antipolitica sarebbe in realtà, automaticamente o per definizione, politica a tutti gli effetti, solo che una nuova forma di politica.
Non credo però che questa posizione sia accettabile. La parola antipolitica è giustificata quando c'è un disprezzo per la politica professionale e per i suoi metodi democratici. Quest'ultimo è un fenomeno che merita un nome.


Lorenzo Sandiford