domenica, luglio 21, 2013

De Rita ha ragione a puntare il dito sui partiti, ma la sua ricetta ha una pecca

D'accordo con Giuseppe De Rita, nel suo editoriale sul Corriere della Sera del 20 luglio ("Salvate i partiti da se stessi"), per come inquadra la fase di stallo politica in cui si trova l'Italia oggi. Con una sola obiezione, però cruciale, riguardo ai passi necessari ai partiti per diventare strumenti politici funzionanti: non credo che un partito debba identificare un "blocco sociale di riferimento" per essere tale, come se l'unica alternativa fosse una "condivisione d'opinione".
Chi come me ha creduto nella possibilità di un Pd a "vocazione maggioritaria" (anche se ho sempre preferito non usare pubblicamente quel termine facile da fraintendere) e in un sistema bipolare centrato su due forze principali è convinto che un partito possa più proficuamente fondarsi su un modello di società verso cui muoversi attraverso le riforme: un modello di società appetibile a una larga fascia della popolazione, non soltanto a un blocco sociale vecchia maniera.
Certo, se i partiti restano concepiti e "organizzati" come adesso - eserciti di persone cooptate secondo i voleri delle élite di blocchi socio-economici di riferimento - non possono funzionare che, appunto, se sono l'espressione più o meno fedele di quei blocchi, senza corpi estranei che creano solo disordine.

Ma se si allarga l'orizzonte delle forme partito possibili ci si rende conto che sono concepibili partiti a vocazione maggioritaria organizzati democraticamente in modo che in essi possano confluire più categorie sociali, unite da determinati progetti di cambiamento e modelli di società obiettivo. Non si tratterebbe di semplice condivisione di opinioni, quanto piuttosto della scelta di modelli di società desiderabili, quanto a competitività e qualità della vita, perché in grado di dare spazio e valorizzare molte, se non proprio tutte, realtà socio-economiche del Paese. 
E' solo questo genere di partito che può guidare il cambiamento, attraverso una sintesi o meglio una rielaborazione delle rivendicazioni lobbistiche delle varie categorie socio-economiche, e non - come adesso - procedendo quasi a casaccio in base alle spinte, più o meno forti, di tali lobby economiche. Insomma, è solo così che, a mio parere, si può ristabilire il primato della politica.
Per il resto, ha ragione De Rita: non si può riformare in modo incisivo la politica italiana solo ripensando le istituzioni, ci vuole anche una revisione della dimensione partitica, che è in profonda crisi, come testimoniato dal movimento di Grillo e dalla "onda d'opinione per Scelta civica" ma anche dal Pdl e persino dal Pd. Inoltre, è vero che dietro ai partiti ci dovrebbe essere un'idea di forma partito precisa e delle regole di funzionamento "certe e costanti", se si vuole che funzionino bene e producano programmi efficaci.


Lorenzo Sandiford

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